In attesa della pubblicazione del pdf completo dell’ultimo numero di Ruggine (presto, presto, davvero!), eccovi due preziose anteprime. Sono molto interessanti, non fatevi scoraggiare dalla lunghezza.
Nelle prossime pagine pubblichiamo due articoli usciti sullo Steampunk Magazine n. 7 e 8 rispettivamente. In un momento in cui lo steampunk si è manifestato fisicamente nell’ambito di movimenti di protesta come Occupy Wall Street con figure come Steampunk Emma Goldman (http://anachro-anarcho.blogspot.it), ci è sembrato interessante questo dibattito su un movimento che a orride derive kitsch affianca un immaginario proiettato verso realtà alternative eppure possibili, e quindi potenzialmente destabilizzante (che poi è quello che a noi è sempre interessato di questo genere).
Margaret Killjoy, fondatore dello Steampunk Magazine e autore di diversi libri su anarchia, steampunk e apocalisse, oltre che di un recente libro-game radicale intitolato What Lies Beneath the Clock Tower, sostiene una visione alquanto pessimistica riguardo allo stato attuale dello steampunk.
Gli rispondono i curatori di Steampunk Facebook (una comunità nutrita di appassionati del genere), che assumono una posizione più laica e parecchio interessante su come anche la semplice velleità
estetica possa cambiare il modo di pensare.
Non si resta neutrali su un treno in corsa
di Margaret Killjoy
Traduzione Reginazabo
Molto è stato detto negli ultimi anni su steampunk e politica. Lo steampunk è politico? È radicale? Se è politico, è anarchico, socialista, democratico, tecno-utopico, neoluddista?
Sì, assolutamente.
Dal giorno in cui è nato lo SteamPunk Magazine, quando mancavano ancora mesi all’uscita del primo numero, siamo stati attaccati per le nostre posizioni esplicitamente politiche. “Non siamo interessati a pubblicare opere favorevoli al colonialismo, razziste, omofobe, sessiste o altrimenti inutili”, era scritto nelle linee guida per gli autori quando ancora lo SteamPunk Magazine era una pagina web statica e una lontana fantasia.
“Come potete essere steampunk e contrari al colonialismo allo stesso tempo?” ci è stato domandato in un commento di un thread particolarmente caustico su LiveJournal.
Come? Be’, per cominciare proprio perché siamo steampunk, non neocolonialisti o neovittoriani. Avendo curato lo SteamPunk Magazine, posso dire con sicurezza che il mio obiettivo non era sovvertire lo steampunk dirottandolo verso la politica: la mia era una semplice reazione a quel che lo steampunk già era (e che a mio parere dovrebbe essere di nuovo). Lo steampunk è nato come filone narrativo radicale (benché alquanto satirico) e mi si spezza veramente il cuore a vedere che cosa è diventato. Questo non vuol dire che lo steampunk abbia o debba avere a che fare con la politica. Lo steampunk non è un programma di partito e lo SteamPunk Magazine non ha mai pensato neanche lontanamente di diventare uno strumento di propaganda per qualche posizione (fatta salva la posizione steampunk). Credo che questo sia uno degli aspetti che lasciano confuse le persone.
Essere apolitici è una posizione politica Howard Zinn è morto un po’ di tempo fa. In realtà con lo steampunk non
aveva niente a che fare (a parte che aveva cominciato a studiare la politica quando era un ragazzino povero nella New York degli inizi del ventesimo secolo, e se volete sapere che cosa ne penso, a me questo pare piuttosto
steampunk). A ogni modo, Zinn ha scritto un libro intitolato You Can’t Be Neutral On A Moving Train, “Non si può restare neutrali su un treno in corsa”, che come avrete senza dubbio notato è la frase che ho ripreso per dare un titolo a questo articolo.
Essere apolitici è una posizione politica.
Essere apolitici significa votare per lo status quo. Lo status quo, come vi sarete accorti, sta riuscendo in modo eccellente a distruggere la terra (e tutti noi con essa).
Credo che alcuni si confondano perché quando si sentono dire “Dovresti interessarti di politica” pensano che gli si stia dicendo di schierarsi (almeno negli USA) con i democratici o con i repubblicani. Oppure, nei casi più
estremi, con il partito libertario o con i verdi. Questa non è politica, è un teatro di burattini, panem et circenses.
È la differenza tra guardare il campionato e giocare a calcio con gli amici.
Se siamo in grado di sognare mondi alternativi pieni di trame di scienziati e di fumo di macchine, com’è possibile che manchiamo tanto di fantasia da riuscire a immaginare la politica solo lungo il consolatorio asse “liberali versus conservatori” che ci è stato sempre proposto?
Quando parliamo di politica, parliamo della preoccupazione che proviamo di fronte ai sistemi di controllo che ci circondano da ogni lato, parliamo del nostro modo di organizzare la società.
Le nostre radici politiche
A essere sinceri, lo steampunk è sempre stato politico. Le opere steampunk più belle e rilevanti sono state, probabilmente senza eccezione, influenzate da tendenze sociali antiautoritarie o anticolonialiste.
Jules Verne fece scalpore con il suo romanzo Il giro del mondo in ottanta giorni sul suo amico Nadar, uomo di mondo parigino di orientamento radicale che fu un pioniere del volo in mongolfiera e la utilizzò durante la Comune di Parigi (oltre ad aver scattato le prime foto aeree e ritratti di molti personaggi dell’ambiente radicale dell’epoca, come Pëtr Kropotkin e Mikhail Bakunin).
Verne ideò il capitano Nemo, una pietra miliare della critica della civiltà, e inserì un protagonista umano ed esplicitamente anarchico nel libro I naufraghi del Jonathan. Non voglio dire che Verne fosse un radicale: aveva
una sottile visione politica, ma non era un agitatore.
H.G. Wells invece lo era. Aperto sostenitore del socialismo, credeva che la società si sarebbe infine trasformata in un unico stato globale e che si sarebbe dissolta in un anarchismo intenzionale.
Saltiamo a piè pari fino agli anni settanta e all’importante romanzo proto-steampunk The Warlord of the Air di Michael Moorcock. Con lo storico anarchico ucraino Makhno tra i personaggi principali di questa storia alternativa, la narrazione contrappone antieroi antiautoritari alle forze del colonialismo e del razzismo. Quanto a Moorcock, in un’intervista che mi ha concesso per il libro Mythmakers & Lawbreakers, ha detto: “Sono un anarchico e un pragmatico. Le mie posizioni etico-filosofiche sono anarchiche. Questo mi agevola parecchio nel prendere una decisione da quello che si potrebbe chiamare un punto di vista kropotkiniano.”
Poi c’è lo steampunk vero e proprio, in cui la prima generazione è rappresentata innanzitutto da K.W. Jeter, James Blaylock e Tim Powers.
Nell’articolo The Nineteenth Century Roots of Steampunk (“Le radici ottocentesche dello steampunk”) che fa da introduzione alla raccolta del 2008 Steampunk (a cura di Ann e Jeff VanderMeer), Jess Nevins scrive: “Lo steampunk, come tutto il miglior punk, si ribella contro i sistemi che rappresenta (la Londra vittoriana o qualcosa di molto simile) e ne critica il trattamento delle classi inferiori, l’esaltazione dei privilegiati a spese di tutti gli altri, la spietatezza e il capitalismo efferato”.
Passando a uno steampunk più contemporaneo, si pensi ad Alan Moore, autore de La leggenda degli uomini straordinari, che è senz’altro una delle opere più influenti dello steampunk. Alan Moore è anche un anarchico (una figura che tra l’altro non si può rappresentare con un bombarolo dalla lunga barba più di quanto il “comunismo” possa essere identificato con l’Unione Sovietica). Con lui ho parlato della questione centrale di questo articolo: di come la politica rientri in tutto quello che scegliamo di fare. Moore mi ha
detto: “Non viviamo mica un’esistenza in cui i diversi aspetti della società sono suddivisi in compartimenti stagni come se fossimo in una libreria. Nelle librerie c’è una sezione dedicata alla storia, una alla politica, una agli stili di vita contemporanei, o all’ambiente, alla filosofia moderna, alle mode del momento. Queste cose sono tutte politiche. Niente di tutto ciò è scisso dal resto: tutto è mescolato assieme. E io credo che sia inevitabile che vi sia un elemento politico in tutto quello che facciamo o non facciamo. In tutto
quello che crediamo o non crediamo”.
Il nostro deplorevole presente
Nell’introduzione all’antologia Steampunk, Jess Nevins riassume la questione perfettamente: “la seconda generazione degli autori steampunk ha trasformato lo steampunk da tema in stile e in posa, perfino in affettazione …
Questo abbandono dell’ideologia è un’evoluzione (o, con meno indulgenza, un’evirazione) che diventa inevitabile una volta che un sottogenere si afferma: si pensi a come il cyberpunk è passato da una critica distopica del capitalismo multinazionale a una dichiarazione di stile e a un cliché letterario. Ma la sua perdita è comunque da deplorare”. Ed è questo il punto. Lewis Shiner, un pioniere del cyberpunk, mi ha detto nel libro Mythmakers & Lawbreakers: “Credo che sia inevitabile che se un certo movimento percepito ha successo, sarà mercificato e tutti cercheranno di saltare sul carro del vincitore. E il cyberpunk, come il realismo magico, ha avuto la sfortuna di essere facile da imitare. Gli occhiali a specchio e gli impianti di wetware nel primo e le farfalle e i fantasmi nel secondo”.
Michael Moorcock mi ha detto: “All’inizio [il fantasy] mi attirava perché non era un genere definito – come nel rock and roll, se ne poteva trarre qualcosa di personale. Se fossi un giovane scrittore adesso, non avrei assolutamente niente a che fare con il fantasy”.
E questo, a essere franchi, è un quadro piuttosto tetro per il futuro dello steampunk.
Il punk non è morto
Non riesco a trovare la citazione esatta, ma una volta ho letto qualcosa di Bruce Sterling sul fatto che un tempo il punk era a posto, ma che oggi i punk si aggrappano al passato e fondamentalmente sono anacronistici. E queste stronzate vengono ripetute da sempre: “Il punk è morto”. Ma non è vero: è solo underground, come peraltro è sempre stato. Il punk non è mai scomparso. Il punk è una subcultura dinamica e pulsante. Oggi i punk non hanno generalmente l’aspetto dei punk degli anni settanta. E neanche quello degli anni novanta. I Green Day e i Blink 182 vengono trasmessi in radio, ma questo non ha fermato l’underground. Il punk non morirà mai. Chi ci critica non ha in generale la più pallida idea di chi e cosa siamo. Il punk non è morto, e lo steampunk neanche. Certa gente si mette addosso un ingranaggio d’ottone luccicante o cose del genere e si definisce steampunk. Ma infilarti gli occhialoni nel culo non fa di te una gallina.
A rischio di dire un’assurdità, se non volete che i punk si presentino alla vostra festa, non organizzate uno spettacolo punk. Siete voi che vi siete chiamati punk. Non prendetevela se vi trovate davanti degli antiautoritari con i capelli blu.
Vi adoro: è stato un piacere. Che cazzo, fatele davvero le cose.