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La pazienza premiata e.. Ruggine n.8

D’altra parte ve l’avevamo detto che eravamo aperiodici.

Ma in tempo di pandemie, apocalissi, ghiacciai rotti, non poteva che tornare Ruggine a tenervi la mano.

Ci trovate nei migliori festival & appuntamenti:

Hackmeeting 2020 – 10/13 settembre – Roma Forte Prenestino

Inchiostri Ribelli 2020 – 26/27 settembre – Firenze Infosciop Viale Corsica

Festival di letteratura sociale – Quinta edizione – 2/4 ottobre 2020 Firenze La Polveriera Spazio Comune

e a breve nella versione online scaricabile come sempre 🙂

Editoriale

Perdere i sensi, e mancare di senso.
La sovrapposizione di significati del termine rende difficile la comprensione.
I cinque sensi, ma anche il senso nell’accezione di significato: darsi un senso è un impresa non da poco nel breve tempo dell’umana vita.
Il covid 19 può provocare la perdita di due sensi: il gusto e l’olfatto. E in questi mesi ha causato pure una certa perdita di senso. Il modello dell’homo economicus è andato in crisi nell’inedia forzata del lockdown, e sarebbe stato quasi piacevole osservare la situazione, se non fosse stato che la crisi implica disagio, sofferenza e malessere diffuso. Non si tratta purtroppo di stare seduti sulle sponde del fiume a attendere placidi il passaggio del cadavere del nemico.

Con Ruggine abbiamo amato ragionare, scrivere e scherzare amaramente di apocalisse, intesa come genere letterario che narra del qui e dell’ora camuffandolo da futuro intriso di simboli, concepito per lenire un insopportabile presente.
Nella nostra immaginazione un evento apocalittico non rimanda a una serie di lenti passaggi, è piuttosto qualcosa di deflagrante e improvviso, al quale o si soccombe o si assurge alla status di sopravvissuti. Una dimensione esistenziale complessa e compressa tra bisogni e possibilità di riscatto, tra concreta mancanza e possibilità di esprimere il proprio immaginario, progettando una vita “meglio”.
La pandemia attuale rompe questo schema, così come spesso la realtà fa con le suggestioni, il covid 19 sembra un’apocalisse endemica, inserita in un contesto sociale di per sé malato e definito normalità, al quale fortissimamente si vorrebbe tornare.
Ma la pandemia si sta rivelando persistente e lenta.
Le istituzioni nella loro astratta visione del corpo sociale, propendono per scinderlo in unità isolate, cercando di arginare il problema, partorendo ossimori.
Del distanziamento sociale, non si capisce il ruolo dell’aggettivo sociale. Il distanziamento fisico si comprende, ma il corpo sociale distanziato e diviso, perde le caratteristiche proprie legate alla socialità.
Si infierisce sull’oggetto già malandato delle proprie attenzioni, con straniante e a tratti inedito interesse per la salute pubblica, posta però in continua dialettica con la cultura di sfruttamento e competizione che solitamente ci contraddistingue: cash rules everything around me, get the money, dollar, dollar bill y’all.

E’ imbarazzante scoprire di doversi occupare della salute altrui, era più facile per esempio con l’Aids, che per lavarsi la coscienza bastava lo spot con le sagome colorate di viola. Sembrava comunque un problema pertinente a Babilonia, Sodoma e Gomorra.
Le istituzioni politiche e economiche sono goffe, non sono abituate a prendersi veramente cura delle persone. Spesso si ha l’impressione di assistere alla gestione di un malanno all’interno di un allevamento di polli in batteria.
C’è poi quella strana capacità del capitale di generare profitto a partire dalla distruzione del valore, per cui uno stop della produzione, è coperto dalla matematica finanziaria, che incenerisce miliardi, ma con la giusta combinazione di fiducia/sfiducia nei mercati è in grado di ricrearli dal niente in pochi minuti.

Insomma l’apocalisse non sembra più quella di un tempo, la visione non appartiene al profeta, ma piuttosto a qualche algoritmo predittivo nutrito a polpette di big data, una sorta di Poldo, personaggio di Braccio di ferro, che ingurgita hamburger di approssimazioni digitali dei nostri comportamenti.
Comunque non è che sentiamo la mancanza dei profeti. Solo avremmo preferito non fossero sostituiti dalle formulette delle regressioni lineari.
Con Ruggine ci sentiamo orfane di una apocalisse decente, e quindi abbiamo deciso di investire nel nostro immaginario, componendo un nuovo numero della nostra umile rivistina.
Per sopravvivere in questi tempi buffi e tremendi assieme, serve un grande sforzo creativo, che in qualche modo ispiri una notevole capacità di autorganizzazione,
perché i tempi sono incerti, ma è sicuro come la morte che non saranno le istituzioni politiche e economiche a offrici un’ancora di salvezza: molto più plausibile che tentino di portarci a fondo con loro.


Non si resta neutrali su un treno in corsa

In attesa della pubblicazione del pdf completo dell’ultimo numero di Ruggine (presto, presto, davvero!), eccovi due preziose anteprime. Sono molto interessanti, non fatevi scoraggiare dalla lunghezza.

Nelle prossime pagine pubblichiamo due articoli usciti sullo Steampunk Magazine n. 7 e 8 rispettivamente. In un momento in cui lo steampunk si è manifestato fisicamente nell’ambito di movimenti di protesta come Occupy Wall Street con figure come Steampunk Emma Goldman (http://anachro-anarcho.blogspot.it), ci è sembrato interessante questo dibattito su un movimento che a orride derive kitsch affianca un immaginario proiettato verso realtà alternative eppure possibili, e quindi potenzialmente destabilizzante (che poi è quello che a noi è sempre interessato di questo genere).
Margaret Killjoy, fondatore dello Steampunk Magazine e autore di diversi libri su anarchia, steampunk e apocalisse, oltre che di un recente libro-game radicale intitolato What Lies Beneath the Clock Tower, sostiene una visione alquanto pessimistica riguardo allo stato attuale dello steampunk.
Gli rispondono i curatori di Steampunk Facebook (una comunità nutrita di appassionati del genere), che assumono una posizione più laica e parecchio interessante su come anche la semplice velleità
estetica possa cambiare il modo di pensare.

 

Non si resta neutrali su un treno in corsa
di Margaret Killjoy
Traduzione Reginazabo

Molto è stato detto negli ultimi anni su steampunk e politica. Lo steampunk è politico? È radicale? Se è politico, è anarchico, socialista, democratico, tecno-utopico, neoluddista?
Sì, assolutamente.
Dal giorno in cui è nato lo SteamPunk Magazine, quando mancavano ancora mesi all’uscita del primo numero, siamo stati attaccati per le nostre posizioni esplicitamente politiche. “Non siamo interessati a pubblicare opere  favorevoli al colonialismo, razziste, omofobe, sessiste o altrimenti inutili”, era scritto nelle linee guida per gli  autori quando ancora lo SteamPunk Magazine era una pagina web statica e una lontana fantasia. Continue reading