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Perchè lo steampunk conta (ancora)

Ecco il secondo articolo sulle sorti dello steampunk. Altrettanto ricco, anzi..

 

Perchè lo steampunk conta (ancora)
di James Schafer e Kate Franklin
traduzione di Reginazabo

“Non c’è nulla di meglio che immaginare altri mondi
per dimenticare quanto sia doloroso quello in cui viviamo.
Almeno così pensavo allora. Non avevo ancora capito che,
ad immaginar altri mondi, si finisce per cambiare anche questo”
Umberto Eco, Baudolino

Siamo due amministratori di Steampunk Facebook, una delle  più grandi comunità (virtuali) di persone che si identificano come steampunk. Non c’è modo di censire in maniera attendibile le opinioni dei nostri centomila seguaci, ma in base alla nostra percezione assolutamente soggettiva del gruppo ci siamo convinti sempre di più che come movimento di rivoluzione sociale lo steampunk abbia fallito. A essere onesti c’è chi ha sostenuto, a volta con veemenza, che un simile programma rivoluzionario non fosse mai stato tracciato, ma noi eravamo tra i pochi che volevano crederlo. Non siamo mai stati convinti che la gente fosse attratta dallo steampunk solo perché faceva fico e perché era un’ambientazione meravigliosa per i romanzi d’avventura e i giochi di ruolo.
Credevamo invece che lo steampunk dovesse il suo fascino all’intrinseco rifiuto della cultura consumista usa e getta e al dominio esercitato sulla società contemporanea da baroni ladri del giorno d’oggi. Avevamo la sensazione che molti, anche se non erano in grado di enunciarlo, stessero abbracciando lo steampunk per far fronte a quel disagio pervasivo che prova quasi chiunque sia cresciuto in occidente seguendo una dieta a base di idee come l’“obsolescenza programmata” e l’“assistenza sanitaria a pagamento”. Una dieta di idee promosse da un’etica capitalistica ottocentesca imbizzarrita a contatto con la tecnologia del ventunesimo secolo.
Francamente, lo pensiamo ancora. Purtroppo non possiamo negare la realtà che questo non ha creato una comunità di steampunk che aderiscono seriamente a una filosofia rivoluzionaria, o anche solo particolarmente progressista. In giro ci sono certamente steampunk che si battono per cause giuste, e vi sono alcune sovrapposizioni di rilievo tra lo steampunk e i gusti estetici di molti sperimentatori sociali e artisti controculturali, ma questo non significa che gli steampunk come “gruppo d’interesse” riconoscano seriamente un concreto programma progressista.
Non è neanche chiaro quanto peso venga dato attualmente alla letteratura antiautoritaria (Warlord of the Air di Michael Moorcock, La macchina della realtà di William Gibson e Bruce Sterling ecc.) che ha attirato verso il movimento molti esponenti della vecchia guardia dello steampunk, con la loro irriverenza nei confronti degli aristocratici, degli industriali, del militarismo, dell’imperialismo e del bieco mercantilismo.
Anche quando lo steampunk continua a essere una cultura letteraria, molti dei suoi libri hanno l’atmosfera dei romanzetti e delle avventure pulp (i libri del Protettorato del parasole di Gail Carriger, Hellfire Chronicles di Geoff Falksen, Retribution Falls di Chris Wooding ecc.): sono divertenti, ma il loro messaggio sociale è molto più ambiguo. E in tutta sincerità si direbbe che ad attrarre le nuove leve siano tanto (o più) i costumi (di aristocratici, industriali, poliziotti militari e imperialisti, ma anche di rivoluzionari e pirati) quanto i libri di ogni tipo. Questa tendenza è accentuata ulteriormente dall’impegno incessante dei negozi indipendenti e multinazionali per battere cassa sul fascino dello steampunk. In breve, quando i produttori vestono Justin Bieber con un costume steampunk, possiamo star certi che se lo  steampunk ha mai avuto artigli che spaventavano il sistema, gli sono stati asportati da tempo. Continue reading


Non si resta neutrali su un treno in corsa

In attesa della pubblicazione del pdf completo dell’ultimo numero di Ruggine (presto, presto, davvero!), eccovi due preziose anteprime. Sono molto interessanti, non fatevi scoraggiare dalla lunghezza.

Nelle prossime pagine pubblichiamo due articoli usciti sullo Steampunk Magazine n. 7 e 8 rispettivamente. In un momento in cui lo steampunk si è manifestato fisicamente nell’ambito di movimenti di protesta come Occupy Wall Street con figure come Steampunk Emma Goldman (http://anachro-anarcho.blogspot.it), ci è sembrato interessante questo dibattito su un movimento che a orride derive kitsch affianca un immaginario proiettato verso realtà alternative eppure possibili, e quindi potenzialmente destabilizzante (che poi è quello che a noi è sempre interessato di questo genere).
Margaret Killjoy, fondatore dello Steampunk Magazine e autore di diversi libri su anarchia, steampunk e apocalisse, oltre che di un recente libro-game radicale intitolato What Lies Beneath the Clock Tower, sostiene una visione alquanto pessimistica riguardo allo stato attuale dello steampunk.
Gli rispondono i curatori di Steampunk Facebook (una comunità nutrita di appassionati del genere), che assumono una posizione più laica e parecchio interessante su come anche la semplice velleità
estetica possa cambiare il modo di pensare.

 

Non si resta neutrali su un treno in corsa
di Margaret Killjoy
Traduzione Reginazabo

Molto è stato detto negli ultimi anni su steampunk e politica. Lo steampunk è politico? È radicale? Se è politico, è anarchico, socialista, democratico, tecno-utopico, neoluddista?
Sì, assolutamente.
Dal giorno in cui è nato lo SteamPunk Magazine, quando mancavano ancora mesi all’uscita del primo numero, siamo stati attaccati per le nostre posizioni esplicitamente politiche. “Non siamo interessati a pubblicare opere  favorevoli al colonialismo, razziste, omofobe, sessiste o altrimenti inutili”, era scritto nelle linee guida per gli  autori quando ancora lo SteamPunk Magazine era una pagina web statica e una lontana fantasia. Continue reading